Licenziamento lecito se il GPS è usato correttamente

Alessia Sialino

1/1/20252 min lire

’E’ arrivata fino alla Corte di Giustizia di Strasburgo la questione della leicità del licenziamento a seguito di verifica del GPS da parte del datore di lavoro. Tale comportamento è conforme alla Convenzione dei diritti dell’uomo, così ha deciso la CEDU nella vertenza Gramaxo contro Portogallo, ma è necessario rispettare alcuni criteri. Il datore di lavoro che intende installare un geolocalizzatore per tracciare i chilometri percorsi deve informare il lavoratore della presenza dello stesso sull’auto aziendale utilizzabile anche a fini privati, in quanto un tanto incide sulla diritto al rispetto della vita privata. Specificare la motivazione per cui tale strumento viene disposto, le ragioni economico finanziare dell’azienda, volta a verificare i costi, sono un dato che non può collidere contro la disponibilità ad usare auto anche in via privata. Solo così si può evitare di violare l’art.8 della Convenzione dei diritti umani, in quanto è stato esercitato un corretto bilanciamento degli interessi in gioco. La vicenda trae origine dal ricorsi presentato da un dipendente che aveva in uso l’auto aziendale anche per fini privati. L’azienda lo aveva avvertito che avrebbe proceduto con un controllo sul chilometraggio al fine di verificare le spese aziendali. Tuttavia egli ha ritenuto che il geolocalizzatore violasse il suo diritto alla vita privata ed aveva agito innanzi all’Autorità competente del suo Paese, la quale aveva respinto il ricorso sulla base della valutazione che il Gps non può essere considerato un controllore. In sede di appello tuttavia la Corte riteneva che invece lo strumento fosse un mezzo di sorveglianza vietato ma aveva statuito che i chilometri controllati, solo quelli relativi alle ore di lavoro effettivo, non avessero causato un pregiudizio al dipendente e quindi statuito la correttezza del licenziamento. Il dipendente però ha voluto procedere ulteriormente ritenendo violato l’art 8 della Convenzione dei diritti dell’uomo che recita “ Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.”

La CEDU, dopo aver verificato che il processo civile svoltosi nel Passe originario era stato equo, ha ritenuto che l’azienda avesse rispettato i criteri di buon senso e di tutela dei diritti esercitati . Sulla base di un corretto bilanciamento degli interessi e senza incidere sulla vita privata del dipendente, correttamente il datore di lavoro aveva valorizzato il pregiudizio economico subito e quindi, a seguito di procedimento disciplinare, provveduto al licenziamento.

All’esame della CEDU vengono presentatati vari casi di violazione dei diritti dell’uomo, trattandosi di situazioni che richiedono una particolare attenzione. Tuttavia la Corte, intesa come Autorità giudicante di ultima istanza, ha il dovere di analizzare le situazioni sia in una ottica di tutela dei diritti umani ma anche di tutela degli interessi delle realtà imprenditoriali. Una corretta informazione, tramite l’espressione di un consenso informato e bene calibrato, porta all’esclusione della illeicità di un comportamento apparentemente di violazione di situazioni soggettive.